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Crisi con UE per un deficit statale a 2,4 % del Pil anziché 2,0 %, mentre non utilizziamo fondi UE destinati all’Italia pari a quasi lo 0,7 % del Pil

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Tragedia o tragicommedia? Elenchiamo alcuni dati di fatto per poi commentare un articolo di Panorama del 14 novembre.

Sono mesi che il numero 2,4 (entità del deficit previsto nel Bilancio dello Stato per il 2019 espresso in % del PIL) è diventato un numero “sacro o demoniaco” con il governo che lo considera un Piave rispetto al quale non arretrare (ricordiamoci che è una previsione di ulteriore debito a nostre spese non è un contributo UE) e la Commissione UE che lo considera un pericoloso salto nel buio minacciando sfracelli se non ci allontaniamo dal baratro (lasciando intendere dietro le quinte che un valore del 2% sarebbe accettabile). Appare sempre più evidente che da entrambe le parti c’è sostanzialmente l’esigenza, malintesa, di “salvare la faccia” (si usa dire che questa preoccupazione è caratteristica della cultura cinese, ma non è vero, è molto diffusa anche in Occidente). Per i partiti di maggioranza salvare la faccia nei confronti dell’elettorato al quale è stato promesso che “non ci saremmo arresi all’Europa” e per la Commissione a difesa del proprio ruolo nei confronti dei Governi rigoristi che ripetono come un mantra che bisogna rispettare le regole. Per salvare la faccia si trascura l’impatto negativo di queste polemiche sui mercati che debbono rinnovare il nostro vecchio debito in scadenza e sottoscrivere quello nuovo. Mercati che naturalmente vedono con favore la “scusa” per far pagare maggiori interessi a un debitore abbastanza in difficoltà da accettare tassi più elevati e abbastanza solido da non far correre il rischio di default (il “pollo” ideale da spennare).

A mio avviso “il mondo è altrove”:

  1. Qual è l’utilizzo del debito aggiuntivo? Se per spese correnti improduttive è male, se per spese di investimento per far ripartire l’economia è bene; questa distinzione sta purtroppo sullo sfondo ed è poco approfondita la domanda chiave: il reddito di cittadinanza e l’anticipazione dell’età pensionabile come giocheranno sulla crescita economica? La risposta è complicata in Italia dove c’è un deficit di domanda, ma è anche drammaticamente alta la quota di attività economica sommersa con conseguenti prevedibili distorsioni.
  2. Sul piano delle regole due osservazioni: a. quello che conta è il consuntivo non il preventivo (in passato le previsioni – un po’ più “rigoriste”- sono state sistematicamente disattese e i controllori dovrebbero preoccuparsi che il valore di preventivo venga rispettato, non concentrarsi sulla entità indicata inizialmente; b. il tetto nominale è fissato al 3 % e tanti Paesi a cominciare dalla Francia lo superano abbondantemente da anni.
  3. Allora la questione si focalizza sull’entità del debito cumulato che in Italia viaggia intorno al 130 % del PIL (e in effetti la Commissione minaccia procedura di infrazione per debito eccessivo); va ripetuto che conterà l’effetto a consuntivo delle misure varate e quindi, ora, conta la credibilità della previsione dei loro effetti sulla crescita (punto 1.) e va aggiunto che le polemiche non dovrebbero essere tali da fornire sostegno alle manovre degli speculatori. Altrimenti accadrà che il deficit reale a consuntivo è superiore alla previsione per effetto dell’incremento dei tassi di interesse da corrispondere. Pochi osservano che i rilievi della Commissione riguardano l’andamento del debito negli anni trascorsi e invitano ad avviare una riduzione; quindi accomunano nella critica le precedenti maggioranze e l’attuale (lo scaricabarile tra le forze politiche ma anche i commenti delle tifoserie contrapposte attive sui social ricordano proprio i polli di Renzo).

In sintesi, le polemiche fanno solo danno (si configura una situazione tragicomica Quante me ne ha date… ma quante gliene ho dette) mentre le discussioni dovrebbero essere riservate e professionali sui dettagli degli interventi proposti e sui modelli econometrici da utilizzare per prevederne gli effetti.

A conferma dell’osservazione che vengono disattesi i punti sostanziali riferisco sul mancato utilizzo da parte dell’Italia dei Fondi Europei a noi assegnati. Una analisi ricca e ben documentata si trova sull’articolo di Panorama di cui dicevo all’inizio e dal quale è tratta la figura del titolo. Qui mi soffermo sull’anno 2016 (ultimo anno per i quali i dati sono disponibili) relativamente al quale dall’Italia sono stati “in teoria ricevuti 11,6 miliardi … dei quali è riuscita a spendere solo il 2 % circa”. Se questa affermazione è corretta non siamo riusciti a utilizzare il 98% di 11,6 miliardi cioè 11,4 miliardi (i dati precedenti sono relativi al solo 2016; con riferimento all’arco temporale 2014 -2020 il mancato utilizzo è stato pari a 88,4% di una disponibilità di 76,1 miliardi). Ebbene, il famoso 0,4 % oggetto di discussione sul deficit – misurato rispetto al PIL – (la differenza di vedute che motiva la crisi dei rapporti con la Commissione UE) vale 6,7 miliardi (dati PIL del 2016 ). Basterebbe utilizzare al 60 % invece che al 2% le risorse assegnate per un anno e avremmo la stessa capacità di spesa per interventi pubblici di politica economica senza dover sottoscrivere 6,7 miliardi di nuovo ulteriore debito (e senza duellare con la Commissione UE con tutte le conseguenze del caso sui costi del debito).

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