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La complessità della governance dell’Agenda 2030 e dei processi partecipativi

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L’agenda 2030 ha individuato 17 obiettivi fondamentali per lo sviluppo sostenibile dell’umanità ma la possibilità concreta di realizzarli è estremamente più complessa perché è funzione diretta della quantità di adesioni convinte da parte dei cittadini di ciascun paese. Sostanzialmente per realizzare, almeno in parte significativa, gli obiettivi, sarà necessario coinvolgere in modo attivo una maggioranza di cittadini, la più ampia possibile.

Se la maggioranza dei cittadini deciderà di partecipare al dibattito pubblico sulle modalità di realizzazione degli obiettivi, e li farà propri, i governi saranno costretti a collaborare in modo leale e propositivo perché il consenso politico dipenderà in gran parte dai buoni risultati nella realizzazione degli obiettivi sostenibili. Se invece saranno soltanto i governi ad aderire, il pericolo che le priorità, sotto la pressione degli eventi e dell’opinione pubblica, nel corso degli anni diventeranno altre, sarà molto più alto.

Pertanto è necessario partire dalla revisione radicale dei processi decisionali pubblici, sulla base del principio che un approccio partecipativo possa dare risultati migliori e facilitare la costruzione e l’accettazione sociale delle decisioni “politiche” e degli obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030.

Per fare questo le élite (governo, parlamento, burocrazia, classe dirigente, ecc.) dovranno coinvolgere nel processo decisionale i cittadini attraverso un ampio dibattito e uno scambio di informazioni “alla pari” utilizzando i media e tutti i social più diffusi (Facebook, Google, Twitter, Linkedin, ecc.). L’obiettivo dovrà essere quello di definire in modo partecipativo gli obiettivi di dettaglio associati a ciascuno dei 17 macro obiettivi dell’Agenda, le azioni e le priorità.

Gli “esperti” dovranno prima di tutto elaborare gli scenari evolutivi (economici, sociali, tecnologici e ambientali) più probabili, da oggi al 2030, nel quale collocare gli obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030. Gli scenari dovranno tenere, oltre che degli effetti concatenati del riscaldamento globale (riduzione dei ghiacciai, aumento degli eventi meteorologici estremi, inondazioni più frequenti, evaporazione delle zone umide, aumento della siccità, maggiori risorse idriche per l’irrigazione), anche della disponibilità di nuove tecnologie come per esempio l’uso diffuso dell’intelligenza artificiale e dei robot, la riduzione dello sfruttamento intensivo e macellazione degli animali attraverso l’uso diffuso delle carne vegetale e di quella coltivata in vitro, energia solare a costi competitivi, auto elettriche e a guida automatica. Insomma per coinvolgere larghe fasce di popolazione è necessario raccontare anche in dettaglio l’evoluzione dell’ambiente e della vita umana e gli impatti sugli aspetti alimentari, sulle attività lavorative, sociali e politiche.

Gli esperti dovranno inoltre presentare una prima bozza ragionata con le possibili alternative come base di discussione la più ampia e la più libera possibile. I cittadini faranno le loro critiche e le loro osservazioni, e avranno la possibilità di formulare nuove proposte sulle quali gli “esperti” esprimeranno i loro pareri. Dopo alcune iterazioni, sicuramente crescerà la consapevolezza dell’importanza della realizzazione degli obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030 e molto probabilmente nascerà un consenso importante sui micro obiettivi, sulle azioni e sulle priorità “concordate” nel corso del dibattito. E quasi sicuramente le decisioni “concordate” saranno anche le migliori e comunque le più socialmente “sentite” come utili e necessarie da una parte ampia della popolazione. I tempi più lunghi e i maggiori costi nella identificazione delle “esigenze” e nella costruzione del processo decisionale, saranno ampiamente compensati da “risultati” più rispondenti alle esigenze “sociali” e più facilmente e diffusamente accettati.

Dall’altra parte i cittadini dovranno imparare a costruire nuovi “strumenti” (sostanzialmente associazioni tra esperti e cittadini rappresentanti le diverse condizioni sociali) per poter partecipare efficacemente al processo della formazione delle decisioni “politiche”, attraverso il controllo della coerenza degli obiettivi dei micro obiettivi (rispetto alle criticità sociali) e della loro fattibilità, e alla verifica dei risultati delle azioni sia rispetto agli obiettivi “concordati” che alle criticità del Paese. Per poter esercitare in modo più consapevole il loro ruolo le “associazioni” dovranno avere le competenze per studiare soluzioni organizzative, tecnologiche e finanziarie in grado di migliorare il benessere sociale ed economico attraverso il miglioramento continuo delle azioni, e della revisione e correzione dei micro obiettivi dei 17 punti dell’Agenda. Le associazioni avranno il compito di promuovere studi, seminari, incontri, iniziative culturali, di comunicazione, confronto e formazione sui temi dei micro obiettivi e sulle modalità di realizzazione a livello territoriale, sociale e istituzionale, con particolare riferimento agli investimenti sociali, allo sviluppo, alla creatività e alla formazione. E infine dovranno promuovere l’innovazione tecnologica, organizzativa, finanziaria, burocratica, istituzionale anche in ambito europeo e internazionale attraverso la costituzione di reti e la condivisione e la valorizzazione delle conoscenze e delle esperienze.

Il punto critico di questo processo partecipativo è rappresentato dagli algoritmi dei “social” che hanno l’obiettivo di “agganciare” ogni partecipante e tenerlo impegnato sulla propria piattaforma il più a lungo possibile; il che favorisce aggregazioni tra persone con gli stessi interessi e contrasta con l’obiettivo di avere un confronto ampio e senza steccati. Aziende – come per esempio Facebook, Google, Amazon, Apple, Linkedin – sulla base delle informazioni raccolte sui loro utenti, hanno conquistato posizioni di monopolio o comunque di forte dominanza del mercato rispetto ai consumatori e di monopsonio rispetto ai produttori. Cioè generano valore con l’intermediazione riducendo sia il valore dei produttori che dei consumatori, sia del capitale che del lavoro. Non è un caso che le cinque più importanti aziende nel mondo siano intermediatori di uno o più mercati verticali e che abbiano dimensioni economiche superiori a quelle di molti paesi OCSE. E non è un caso che questi intermediatori hanno un peso importante anche nell’orientamento degli elettori e delle decisioni politiche. Che fare? Bisogna avviare un percorso analogo a quello delle telecomunicazioni negli ottanta quando fu deciso: la portabilità del numero di telefono e la libertà di cambiare l’operatore da parte dell’utente; l’obbligo da parte di tutti gli operatori di interconnettere tutti i propri clienti con tutti gli altri di tutte le altre compagnie di telecomunicazioni. La stessa cosa bisogna fare adesso con il profilo personale o aziendale: ogni utente deve essere libero di trasferire il proprio profilo su qualsiasi piattaforma; tutte le piattaforme devono garantire a tutti gli utenti di potersi connettere con tutti gli altri profili di tutte le altre piattaforme. Le tecnologie per farlo sono già disponibili ma gli intermediatori non hanno alcuna voglia e convenienza a farlo. Serve la consapevolezza e la capacità di organizzarsi di tutti gli intermediati per pretenderlo.

In attesa delle riforme e dei regolamenti internazionali per governare l’economia immateriale sarà importante trovare gli opportuni accorgimenti e accordi per rendere funzionali i “social” alla governance dei processi partecipativi per l’Agenda 2030. Cosa probabilmente possibile. Benvenuti nell’era della infoplutocrazia!

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