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La dimensione digitale (immateriale) sta creando dinamiche economiche e sociali radicalmente diverse da quelle del passato. Ma sembra che gran parte della classe dirigente (le élite) stia affrontando i problemi come se vivessimo ancora nel capitalismo materiale. E la stragrande maggioranza della popolazione avverte le difficoltà della radicale trasformazione in atto, senza capirne i motivi.
La parte immateriale del mondo in cui siamo immersi è ormai largamente prevalente (spesso anche nei prodotti tradizionali tangibili) e i dati (le informazioni) fanno la parte del leone. Le differenze tra la dimensione materiale e quella immateriale sono notevoli.
Le principali caratteristiche della dimensione immateriale sono le seguenti. Alcune attività sostanzialmente non hanno costi: riprodurre; immagazzinare; trasferire. Il trasferimento è istantaneo. La manipolazione è sostanzialmente fatta dai robot senza soluzione di continuità 24 ore su 24 e senza limiti geografici (ubiquità). I beni non sono escludibili e non sono rivali cioè l’utilizzazione di un prodotto da parte di un soggetto non ne preclude il godimento da parte di altri attraverso la duplicazione praticamente senza limiti, e non ne riduce la piena e totale godibilità da parte di ciascuno dei fruitori. I beni non deperiscono ed essendo interconnessi possono modificare i loro comportamenti sulla base delle informazioni e del profilo del fruitore come per esempio il navigatore nel decidere il percorso in funzione del traffico o le compagnie di trasporto (aereo, su rotaia, su gomma, in mare) e gli albergatori che possono modificare i prezzi sulla base delle richieste e della disponibilità economica dei clienti. Inoltre i profitti dell’economia immateriale possono essere trasferiti nei paesi con le tassazioni più favorevoli. Ed infine esistono alcuni soggetti – come per esempio Facebook, Google, Amazon, Apple, Linkedin – che, sulla base delle informazioni raccolte sugli utenti, hanno conquistato una posizione di monopolio o comunque di forte dominanza del mercato rispetto ai consumatori e di monopsonio rispetto ai produttori. Cioè generano valore con l’intermediazione riducendo sia il valore dei produttori che dei consumatori, sia del capitale che del lavoro. Non è un caso che le cinque più importanti aziende nel mondo siano intermediatori di uno o più mercati verticali e che hanno dimensioni economiche superiori a quelle di molti paesi OCSE. E non è un caso che questi intermediatori hanno un peso importante anche nell’orientamento degli elettori e delle decisioni politiche.
Le dinamiche del capitalismo materiale erano: capitale verso lavoro; capitalisti verso lavoratori; capitalismo di mercato (temperato o selvaggio) verso capitalismo di Stato; destra verso sinistra.
Le dinamiche del capitalismo immateriale sono: informazione verso produzione (capitale e lavoro); intermediatori verso intermediati (produttori e consumatori); centralismo verso decentralismo; chiusura verso apertura; monopoli verso mercati competitivi. Con la conseguenza che le tasse su una grande parte delle attività economiche (oltre il 60%) vengono pagate in misura minima, quasi simbolica, nei paradisi fiscali. Sottraendo risorse importanti e crescenti ai servizi pubblici e sociali e al welfare. Praticamente il capitalismo immateriale, al contrario di quello materiale, sfugge a qualsiasi controllo e regolamentazione. E il potere degli intermediatori è destinato a crescere sempre di più perché ciascuno di noi troverà maggiore convenienza ad aggregarsi a piattaforme molto popolate anziché a piattaforme con pochi utenti.
Come se ne esce? Con iniziative che favoriscano: l’apertura dei mercati immateriali; una minore concentrazione delle informazioni; nuove norme fiscali; un nuovo welfare che rinforzi la formazione e la sanità, e che preveda interventi separati e distinti di sostegno ai soggetti in difficoltà e a quelli che rimangono senza lavoro nelle numerose transizioni tecnologiche e professionali che ciascuno si trova ad affrontare nella vita lavorativa; innovazioni nei diritti dei lavoratori e dei professionisti; controlli pubblici di garanzia per i consumatori; contendibilità degli utenti, interoperabilità dei servizi. È necessario avviare un percorso analogo a quello delle telecomunicazioni negli ottanta quando fu deciso: la portabilità del numero di telefono e la libertà di cambiare l’operatore da parte dell’utente; l’obbligo da parte di tutti gli operatori di interconnettere tutti i propri clienti con tutti gli altri di tutte le altre compagnie di telecomunicazioni. La stessa cosa bisogna fare adesso con il profilo personale o aziendale: ogni utente deve essere libero di trasferire il proprio profilo su qualsiasi piattaforma; tutte le piattaforme devono garantire a tutti gli utenti di potersi connettere con tutti gli altri profili di tutte le altre piattaforme. Le tecnologie per farlo sono già disponibili ma gli intermediatori non hanno alcuna voglia e convenienza a farlo. Serve la consapevolezza e la capacità di organizzarsi di tutti gli intermediati per pretenderlo. Benvenuti nell’era della infoplutocrazia.