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La posizione di Husserl riferita alla scienza è condivisibile? E’ riferibile anche alla politica? Ma è proprio vero che non c’è speranza?

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Premettiamo che la frase di Husserl “Questa scienza non ha niente da dirci” è estratta da La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, un articolo pubblicato nel 1936 sulla rivista «Philosophia». Erano tempi difficile e non solo per la scienza.

La frase di interrogativi ne suscita anche altri. A quale scienza si riferisce? Alle cosiddette scienze esatte (matematica, fisica, chimica, biologia, …oggi va di moda l’acronimo STEM) o in generale ai saperi umani che comprendono scienze come la sociologia, l’economia, la sociologia, la psicologia (che piaccia o non piaccia sono ancor meno esatte delle altre)? Forse la risposta è che non è la scienza di per sé ad essere “muta” , muta rispetto ai bisogni profondi dell’umanità. E’ poco significativa una scienza cui ci si avvicina senza una consapevolezza delle dimensioni e dei valori dell’animo umano e dei cui risultati si fa uso compulsivo e acritico con la stessa inconsapevolezza.

Paradossalmente in concomitanza con il trionfo, spero effimero, del post moderno della post verità, del pensiero debole, in una parola del relativismo che nega ogni certezza, ci si affida acriticamente al presunto obbligo di realizzare tutto quello che si può senza sufficiente progettualità, senza adeguata valutazione preventiva d’impatto. Due esempi preoccupanti dell’anno concluso: la manipolazione genetica con tecniche CRISP su embrioni umani, una corsa alla cosiddetta Intelligenza Artificiale. Quest’ultima sfida (finora in mano a strutture multinazionali senza regole che non rispondono a nessuno) è mal definita e ancor peggio “progettata” con riferimento a risvolti che non sono solo tecnologici, ma anche sociali e morali. Le applicazioni procedono senza ne siano state esaminate le profonde implicazioni sulla vita e le prospettive degli individui e della società (dalla medicina, alla selezione e dinamica nei rapporti di lavoro, alle transazioni finanziarie e tante altri aspetti dei rapporti interpersonali). Comincia a occuparsi di regolamentare questo settore l’Unione Europea: incrociamo le dita.

In tutto questo la politica non svolge efficacemente il proprio ruolo (la debolezza in questa fase della politica è un male trasversale epidemicamente diffuso nei diversi schieramenti politici e non solo in Italia). Non percependo o non sapendo affrontare i problemi reali, o propone soluzione impercorribili o mostra al popolo spauracchi che polarizzino l’attenzione; ma anche questi accorgimenti hanno il respiro corto: la politica dovrà a breve fronteggiare gli insuccessi. Nel contempo si minimizza la valenza della preparazione e dell’approfondimento, matrici della ormai marginalizzata competenza e azzera i cosiddetti corpi intermedi (che potrebbero meditare, dialogare, proporre, correggere) tutti i meccanismi di rappresentanza, compreso il Parlamento puntando su di un rapporto diretto dei leader con le rispettive masse di riferimento. Non è solo questione di competenza o meno dei vertici. Tra i limiti di questo procedere della politica che non guida, ma fomenta delusione e rancore con toni deleteri simili a quelli delle tifoserie più becere, pesa ancor più la scelta di rifiutare approcci di tipo generale (progettualità di respiro e non improvvisazione) e di metodo (partecipazione e non solitudine dei leader che si ritengono unici interpreti della rappresentanza del popolo) . Gli errori conseguenti sono già manifesti. Un esempio fra tanti nella manovra, appena approvata, è il regime di imposte forfettario e di flat tax al 20% che incentivano le entrate in nero, favoriscono le elusioni e il nanismo delle imprese.

Va riconosciuto che sono ormai decenni che si procede con questa grezza interpretazione della democrazia e non solo in Italia. Il pessimismo estremo è quello di Piergiorgio Odifreddi che parte dall’affermazione che il 90 per cento dagli Italiani è stupido e lascia intendere che questi essendo gli elettori tali (o ipocriti) ci si debba aspettare siano gli eletti.

Io credo invece che gli Italiani non sono affatto stupidi: nel medio termine se si investe immediatamente su scuola, università, formazione e informazione e riconoscimento del merito sapranno scegliere il “programma giusto”e quindi le “persone giuste” per realizzarlo. Nel breve termine non resta che sperare in manifestazioni pacifiche ma determinate per far conoscere le valutazioni. La grande incognita è la qualità dei sistemi di informazione e di comunicazione di massa a cominciare dalla rete dei social. Molto dipenderà dall’impegno di quelle persone che intervengono sulla rete con misura, saggezza, semplicità, capacità di argomentazione e soprattutto disponibilità all’ascolto e al dialogo. Ne ho incontrate migliaia su Linkedin: a loro il mio grazie per quanto hanno fatto finora e il mio augurio di successo in un’opera che può essere decisiva.

Chiudo osservando che profezie sul disgregarsi della democrazia se ne fanno da millenni, che ogni generazione ha i suoi passaggi di difficoltà (sono tra quelli nati prima della fine della seconda guerra mondiale) che oggi gli strumenti per superare le crisi (forniti in gran parte da quella scienza e quella tecnologia che secondo Husserl non servirebbe) ci sono e basterà saperli usare (è vero non è facile). Allora la mia risposta è che la scienza, quella buona, ha molto da dirci se si sanno fare le domande (quello che ci serve) e si sanno capire le risposte (quello che si può fare). E pure la politica, quella buona, se riuscissimo a trovarla, (forse più realistico dire se ci impegnassimo a ricostruirla) avrebbe molto da dirci e da darci (progetti e strumenti per realizzarli).

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