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Non è di grande conforto e soprattutto non ripara i danni causati questo barlume di autocritica (la notizia è riportata al Corriere della Sera) da parte di un signore, manifestamente impari al compito, che si avvia a una ingloriosa conclusione del suo mandato. La gravità del quadro attuale in Grecia (si deve purtroppo parlare di degrado economico e sociale) è documentata con cifre impressionanti in un articolo intitolato Dieci anni di austerity: la Grecia in preda all’economia disumana.
Non è raro che tra i complici di un misfatto (chiamarlo errore sarebbe cedere ancora una volta al diktat del linguaggio “politically correct”) si pratichi il gioco dello scarica barile. Juncker attribuisce esplicitamente la principale responsabilità delle scelte di austerità all’intervento del Fondo Monetario Internazionale (FMI o IMF in inglese) componente della famigerata troika composta da FMI, Commissione Europea e Banca centrale Europea che ha imposto questa politica voluta, come è noto, dalla Germania non disposta a gestire la crisi all’interno della UE.
Paradossalmente è stato proprio FMI il primo soggetto istituzionale a riconoscere il proprio errore nell’indicazione dello strangolamento della spesa come ricetta per il salvataggio della Grecia: “Rallentare il passo dell’austerity avrebbe aiutato l’economia della Grecia, ma non era politicamente possibile, dice il Fondo. «Aggiornamenti tempestivi avrebbero mitigato la contrazione, ma il programma avrebbe richiesto ulteriori finanziamenti», cosa che né il FMI né l’Eurozona erano pronti a fare, scrive il rapporto“. Ma il mega direttore galattico dell’FMI Christine Lagarde è ancora al suo posto, pontifica e decide del futuro dell’economia mondiale.
Sotto la sigla Eurozona si fa riferimento sia allo stesso Juncker come Presidente della Commissione (e alla cancelliera Angela Merkel che con il pugno di ferro ha condizionato sia la Commissione sia il Consiglio Europeo) sia, per fortuna in misura minore alla Banca Centrale Europea che in seguito, attraverso il Quantitative Easing, ha contribuito al contenimento delle difficoltà.
Un elenco puntuale delle responsabilità della Merkel si può leggere in un mio articolo su Linkedin di quasi tre anni fa a commento di un’analisi condotta dal quotidiano inglese Guardian; vale la pena di dare uno sguardo all’articolo del Guardian perché è un raro esempio di valutazione positiva delle prospettive dell’Italia (purtroppo però le previsioni favorevoli si sono realizzate solo in parte).
Ho ripreso recentemente commentando un articolo che parla delle difficoltà recentemente manifestatesi nell’economia tedesca alcune considerazioni esposte a suo tempo sulla politica della Merkel nei confronti della Grecia:
a. lo scopo reale della Troika era il salvataggio delle banche tedesche fortemente esposte con il debito greco; hanno risolto i problemi tedeschi trasformando il credito inesigibile dei privati tedeschi in debito degli stati di tutti i paesi UE ( il 60 % delle banche tedesche è diventato il 15 % a carico dello stato tedesco mentre il 5% delle banche italiane è diventato oltre il 10 % dello stato italiano).
b. se il ricco macellaio greco diventava povero e non comprava più la Mercedes anche la Germania ne avrebbe risentito; avendo la Germania, via politica UE, reso gran parte dell’Europa più povera era prevedibile che le loro esportazioni ne avrebbero risentito.
Per chi fosse interessato a un aggiornamento sui rapporti tra Grecia e Germania consiglio un articolo di Huffington Post in occasione della recente visita della Cancelliera ad Atene durante la quali si sono sprecati i sorrisi, anche se del tutto immotivati.
Purtroppo è arrivata la resa dei conti, i responsabili ammettono gli errori ma, non a caso, a proposito delle ultime dichiarazioni di Juncker alcuni commentatori evocano l’analogia con il comportamento del coccodrillo. Gli errori se pure in tempi diversi e in diversa misura li paghiamo tutti. L’Italia non ha finito di pagare perché della Germania siamo fornitori e in particolare subfornitori di componentistica e se l’economia tedesca si contrae le nostre forniture inevitabilmente ne seguono l’andamento. La situazione è ulteriormente complicata da un ambientalismo ingenuo che inconsapevolmente lavora per demolire alcuni pilastri dell’economia europea. L’attacco all’industria automobilistica europea ne è tragico esempio; anche in questo caso le furbate delle imprese tedesche sulle prove truccate delle emissioni delle loro autovetture hanno contribuito a innescare una crisi cui esiti non saranno semplici.