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Quanto tempo staremo in recessione e in che modo se ne potrà uscire?

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La recessione tecnica, o la stagnazione economica come preferisce chiamarla Tria, che era stata ampiamente prevista, è purtroppo arrivata. Adesso bisogna capire in che modo se ne può uscire.

Quelli che stanno al governo sostengono che è colpa di quelli di prima. Rimane però il fatto che dopo 14 trimestri di crescita congiunturale consecutiva, l’economia si è contratta nei due trimestri del secondo semestre 2018, dopo l’arrivo al governo di Di Maio e Salvini.

Conte sostiene che non dipende da noi ma dalla Cina e dalla Germania, che è il nostro primo cliente per l’export. E’ vero solo in piccola parte (non si conoscono i dati del quarto trimestre ma nei primi tre l’export ha avuto una crescita dell’1%). E comunque che ci sarebbe stata una congiuntura internazionale sfavorevole (soprattutto nel 2019) lo sapevano tutti, tranne forse Di Maio, Salvini e Conte. La recessione invece è chiaramente trainata da un forte peggioramento delle aspettative delle imprese e da un parallelo calo degli investimenti, oltre che degli acquisti di beni durevoli delle famiglie.

Il governo fa molto affidamento sul reddito di cittadinanza come stimolo per la domanda interna anche a parziale compensazione di quella esterna. Cioè gran parte del reddito di cittadinanza dovrebbe essere impiegato in acquisti che dovrebbero spingere le imprese ad aumentare la produzione. Questi auspici potrebbero però essere attenuati da alcune dinamiche tutte da valutare. La prima è capire quanta parte degli acquisti verrà veicolata verso produzioni italiane e quanta verso quelle estere. La seconda è capire quanta parte del reddito di cittadinanza verrà impiegato in sostituzione di spese che finora sono state sostenute con risorse (per esempio lavoro in nero, sostegno delle famiglie) che potrebbero essere nel futuro impiegate nel risparmio. La terza è che lo stimolo della domanda probabilmente interesserà soprattutto le imprese di alcune regioni come per esempio il Veneto, la Lombardia e l’Emilia Romagna. E molto di meno il Sud.

In un periodo di recessione sarebbe stato meglio utilizzare tutte le risorse (anche quelle di quota 100 delle pensioni) per stimolare la domanda interna attraverso cospicui investimenti nella realizzazione di infrastrutture abilitanti per una maggiore competitività del sistema Italia. Ma su questo fronte ci si scontra, oltre che con la scarsa disponibilità di risorse, soprattutto con le ideologie grilline fortemente contrarie alle infrastrutture. Il reddito di cittadinanza, come sostegno sociale ai cittadini in difficoltà, avrebbe dovuto avere un tetto molto più basso (come avviene nei paesi in cui esiste nei quali si attesta al di sotto dei 400 euro) per non entrare in competizione con i redditi più bassi da lavoro. Alcuni di quelli che guadagnano dai 600 ai 900 euro al mese, e sono tanti, potrebbero essere tentati dal comodo reddito di cittadinanza. E sarebbe comunque assolutamente necessario evitare di erogarlo a coloro che lavorano in nero.

Infine a breve non possiamo neanche sperare negli investimenti stranieri. Infatti nei primi mesi del 2018 vi era stato un afflusso netto di circa 41,7 miliardi di euro, ma da maggio a novembre il deflusso dai Bot, Btp e Cct ha raggiunto i 77,2 miliardi. Pertanto, nel complesso, gli stranieri hanno disinvestito circa 36 miliardi di euro dai titoli di stato italiani nel 2018. In compenso gli stranieri hanno fatto affluire circa lo stesso ammontare (35 miliardi) per impieghi nel settore privato non bancario, cioè il settore dell’economia residuale rispetto alle banche, lo stato e la Banca d’Italia. Gli stranieri sono stati quindi venditori netti di titoli del settore privato così come lo sono stati del settore pubblico. I capitali in ingresso che hanno permesso di più che compensare i deflussi si riferiscono a nuovi prestiti, che, incrociando i dati con quelli del debito estero, sono prevalentemente con scadenza inferiore a un anno. Si può ipotizzare che, stante le restrizioni (non di tasso) nell’offerta di credito che le banche italiane hanno messo in atto da giugno in poi, una parte del settore privato abbia ritenuto più conveniente rifinanziarsi presso istituzioni estere. Interessante sarà valutare se, dal mese di dicembre, con la distensione del rapporto tra governo e Commissione europea e la conseguente riduzione del tasso di rendimento dei titoli di stato, sia in atto una nuova ricomposizione delle decisioni di investimento orientata a una maggiore fiducia nel nostro sistema. Oppure se, dati i rischi di contrazione dell’economia, gli investitori esteri continuino a rimanere sostanzialmente alla finestra come farebbe supporre l’aumento dello spread registrato di nuovo in questi ultimi giorni.

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