Si parla tanto di valutazione nella scuola con toni spesso accesi, a volte accorati, a volte accademici (solo in apparenza asettici). Raramente si trovano considerazioni mirate a evidenziare i possibili punti di convergenza, almeno nell’approccio, possibilmente nella diagnosi e forse addirittura nella terapia. Pur non essendo linkedin la sede più indicata per un approfondimento specialistico, può essere utile, data la centralità del tema educazione scolastica, raccogliere qualche considerazione metodologica di carattere generale anche in vista dell’applicazione, in corso, della legge 107/2015 cosiddetta della buona scuola. Per un aggiornamento della sua applicazione tra contrasti accesi, si può vedere un articolo del Corriere della Sera di venerdì 20 maggio u.s..
Un primo elemento di chiarezza è la definizione dell’ambito di valutazione:
- il sistema scolastico nazionale
- un ordine degli studi (primaria secondaria, secondaria superiore – classificazione superata sul piano normativo, ma ancora di uso comune)
- una tipologia di formazione (istituto tecnico piuttosto che liceo o una specifico tipo di liceo)
- una singola struttura scolastica
- una sezione
- una classe
Una seconda classificazione necessaria è relativa alla tipologia di soggetti da prendere in considerazione (alcuni dei quali sono simultaneamente valutatori e valutati):
- le burocrazie, ministeriali o regionali
- i dirigenti scolastici
- i docenti
- le famiglie
- gli studenti.
Rispetto ai soggetti si manifestano spesso due incertezze di fondo: confusione tra valutazione delle qualificazioni del soggetto in sé e valutazione delle prestazioni che quel soggetto assicura; intreccio della valutazione del singolo con quella del gruppo di cui quel singolo fa parte (il caso dell’insieme dei docenti che operano in una sezione è evidente, ma più in generale occorre fare riferimento al concetto di “costellazione di ruoli interagenti”).
Non meno importante è definire lo scopo per il quale si svolge l’attività di valutazione; tra gli scopi più frequenti quelli di attribuire:
- una posizione iniziale (allora sarà una valutazione delle qualificazioni o delle prestazioni in precedenti incarichi)
- responsabilità e compiti aggiuntivi temporanei
- un avanzamento in carriera
- un incremento retributivo permanente o temporaneo
Ovviamente tra gli scopi dovrebbe essere primario quello di raccogliere indicazioni per interventi di miglioramento dei risultati ottenuti.
Vanno naturalmente tenuti in considerazione anche per il mondo della scuola una serie di elementi decisivi quali la disponibilità di risorse e il quadro normativo (e culturale) nel quale ciascun soggetto si trova ad operare. Comunemente questi elementi sono considerati come vincoli, ma a volte i risultati della valutazione possono contribuire a ridefinirli o a rimuoverli (per esempio se un sistema “premiante” dà più risorse a strutture più “performanti” o se emergono aree di nelle quali le prestazioni sono più elevate e si specializza conseguentemente l’offerta formativa o, più in generale, se emerge l’inadeguatezza di alcune norme. La valutazione è ancor più necessaria in presenza di deleghe concentrate su singoli soggetti (nella riforma in esame i Dirigenti scolastici) per verificare gli effetti della loro azione. La consapevolezza dei vincoli rende più realistica e condivisibile anche la dimensione comparativa della valutazione (è ben noto che la comparazione ha più senso di una valutazione presentata come assoluta).
Menziono per ultimo l’elemento più significativo: non ha senso una valutazione delle prestazioni di un singolo, di un gruppo, o di un’intera struttura che non sia correlata al grado di conseguimento degli obiettivi che a questa struttura sono stati assegnati. In altre parole, non ha senso alcun tentativo di valutazione della scuola che non sia preceduto dall’individuazione, condivisione ed esplicitazione puntuale degli obiettivi che sono assegnate alle diverse realtà oggetto di valutazione.
Dal mondo della scuola inoltre ci si aspettano risultati prevalentemente a medio termine (anzi per le istituzioni scolastiche nel loro complesso a medio-lungo termine) e questa circostanza ovviamente complica ulteriormente il quadro. Un aspetto delicato e di grande rilievo in tutti i processi di valutazione è quello della scelta degli indicatori delle prestazioni; spesso scatta il meccanismo della parabola del lampione (si preferisce misurare quello che è facile misurare, piuttosto che quello che è utile misurare e si rischia di produrre numeri con il massimo dell’oggettività, ma con scarsa significatività).
Per la verità c’è anche una controindicazione rispetto al mantenimento nel tempo di un sistema di valutazione: coloro che sono sottoposti a un dato sistema dopo un po’ ne apprendono in dettaglio i meccanismi e tendono a lavorare non tanto per i risultati quanto per gli indicatori di risultato (e potrebbe anche non essere la stessa cosa).
Ciò detto, francamente mi sembrano sterili (vorrei dire nocive) disquisizioni su singoli aspetti specifici, tenzoni tra chi difende in blocco gli insegnanti e chi li ritiene esclusivi responsabili delle difficoltà in cui la scuola si dibatte. Una recente occasione per esternazioni prevalentemente inconcludenti sono state le reazioni alla pubblicazione sul supplemento Donna di la Repubblica di due interventi di Umberto Galimberti (2 aprile 2016 dal titolo “Quando il modo di insegnare fa saltare il banco” e 14 maggio 2016 dal titolo “Valutare gli insegnanti non è volergli male”) che ha sollevato due punti di fondo: la difficoltà di misurare risultati che hanno carattere qualitativo e non quantitativo e il peso crescente della burocratizzazione dell’attività didattica. Come esempio di argomentazioni polemiche comprensibili nella motivazione, poco costruttive si può vedere un articolo sul sito edscuola prevalentemente dedicato alla discussione generica se sia meglio il passato il presente o il futuro (previsto dalla riforma) senza tener conto che la scuola non può non cambiare, quantomeno nei metodi, al cambiare del contesto in cui è inserita.
Non mancano in rete documenti di approfondimento che riportano anche esperienze di altri paesi: come esempi di approccio differenziato per chi volesse approfondire l’argomento segnalo un articolo di Carlo Scognamiglio su Micromega, un commento di Stefano Stefanel sul sito della Associazione Nazionale dei dirigenti scolastici, una ricognizione di Norberto Bottani sul sito Oxydiane.
Un’osservazione finale: ogni valutazione se condotta seriamente è un impegno notevole e difficilmente si troverà un meccanismo perfetto. Ma la crisi della nostra società è in gran parte riconducibile a diffuse forme di relativismo (postmodernismo e pensiero debole ne sono state manifestazioni a mio avviso molto nocive) di un malinteso egualitarismo (che non consente di evidenziare e premiare – magari solo con un riconoscimento simbolico, un grazie – chi svolge il proprio compito con serietà, professionalità e dedizione), di giustificazionismo per sacche di disimpegno addirittura autoassolto per considerazioni paraideologiche. Senza valutazione e selezione difficilmente ne verremo fuori: quest’esigenza è decisiva nel sistema del pubblico impiego e nella scuola in misura particolare. Impegno di tutti dovrebbe essere cercare di mettere in piedi un sistema sempre meno imperfetto anziché teorizzare che non si può far nulla o che va bene la scuola così com’è, per un semplice motivo: non è vero.